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L’aspetto fondamentale

Non so cosa aspettarmi dalla vita se non la vita stessa.

Torna gli dissi, torna anche quando sarà finita, quando consumata sarà la giornata, la noia, la vita.

Torna, gli urlai, perché questo specchio funziona a metà senza te, senza il nostro quotidiano rimandare, il sorridere tra le rughe, l’andare e il divenire, insieme.

Torna, ti prego, torna.

Nello specchio io sola con il pensiero, il ricordo.

Torna, per favore, torna.

Ma da un altro mondo è difficile tornare, risorgere, ricomparire, dall’altro mondo, tolte tutte le cose, non rimane che il tempo e quello va solo in un verso, va spedito, non è veloce, non è lento, è continuo, spietato, perenne.

Rivendico il mio essere bella, tolgo la colpa, trucco la via.
Oggetto di me stessa, accolgo con rassegnazione il risultato di questi anni, aspetto che torni, comunque. Intrecci di altre case arredate e vissute, viaggi, scontri, litigi, carriere. Spezzi di stoffe ricamate questi sono ricordi, restano e si coprono di polvere, spessa, sporca e grottesca polvere.

Poi, improvviso, irrequieto, il campanello, improvviso, irrequieto, il cuore fino in gola. Sei tornato, non porti mai con te le chiavi, le consideri parte della prigione, ma ora poco importa sei tornato.

Mi rivesto con la fretta di chi sente ogni minuto dei suoi anni, voglio correre ad aprire ma lo specchio mi trattiene, voglio essere bella, devo essere bella, più bella, coprire la vecchiaia, mascherare la sentenza, anche con te, per te. Lo considero parte della prigione. Allora dopo il terzo strillo del campanello e un altro po’ di rossetto, mi strappo dal riflesso, mi libero a fatica, bella, devo essere bella. Arrivo alla porta, una leggera aggiustata ai capelli e l’apparente apparenza è completa. Mi sembra di sentire il tuo respiro come quando allo specchio, con l’alito ne appannavi una porzione per disegnarci, tremando, un fiore, un piccolo fiore per me.

Aperta la porta, ritorna, coerente e completa, la tua mancanza, a terra un piccolo cumulo di polvere ammassata dal vento che sposta lo sporco dalla strada, sulla strada, per la strada.

Aperta la porta, torna, torna la voglia di urlare: torna, ti prego torna. Ma tu non ci sei, non tornerai. Non è bastata la cipria, non serve l’ombretto, ora tutto si mescola tra le lacrime e le piaghe, le pieghe della pelle.

Arresa, offesa, illesa forse si, forse no, chiudo la porta, scosto la vita e ritorno allo specchio, nello specchio.


aiuto balbettato

riprova, nel senso più profondo della parola. riprova.

questo è quanto. 

non sempre, quindi raramente, la vibrazione nasconde al suo interno (irrequieto) quelle sensazioni, emozioni che crediamo più vere di altre. la difficoltà resta costipata tutta nel tempo di ambientazione, il tempo necessario al corpo per un completo trapianto di luoghi comuni. battaglie vinte, vicine. musiche elettroniche, elettriche, videoludiche. anni tanta, tant’anni. 

cambio, elenco sbilenco. scenica rappresentazione di un inferno celestiale.

al centro del palco, un angelo muto. 

non mi sento sicuro, non mi sento protetto.

l’angelo è solo, illuminato dal suo stesso riflesso, il suo pallido colorito. luce che sale, luce che (a)scende. l’angelo è solo, nudo, vergogne comprese.

non mi sento tranquillo, non mi sento sereno. 

l’angelo è nudo, è solo, è muto, l’angelo è vinto, caduto. 

tranquillo, sereno, sicuro e protetto, baratto il biglietto con un sacchetto pieno di pulci, monete ballerine. 

raccapricciante e breve, spettacolo finito. 

per nulla divertito, incerto, capovolto, salto nel vuoto, vivo nel vuoto. scollature, parchi pubblici, fontane, vetrine, palazzi, anime… resti di campagne elettorali, eletto-mali, secchi, scope, pretesti stampati, debiti, bugie, lunghissime code. 

tutto per un posto alle poste. 


forfait

ghirigori di vernice,

uno scialle legato al collo,

vene aggrovigliate, incontrate nel gradevole contorno di un pensiero girato. 

filmico silenzio.

nero, dissolvenza, sereno e più lontano appiglio, aiuto la mancanza, tengo stretta e distante la vita. zenzero, pensieri salati. 

mentre cado.

feroce la pazienza,

sconfitta e segreta la vendetta,

timido alito di vento. 

mentre cado.

uno dei due, all’improvviso il cielo è creta morbida, pezzi d’azzurro impastato cadono su migliaia di testa annoiate. azzero. nero che scurisce, 

dinanzi al portone un gatto cerca di attirare l’attenzione.

arrivo dove il limite custodisce una rinuncia, 

porto a spasso solo la gentile e spaesata richiesta d’aiuto, 

faccia doppia, tripla.

ho scavato con ardore fino al centro del cemento, fino al punto interrogativo.

domanda, pietanza amara (da amare) servita su di un piatto d’argento, cos’è questo? questo cosa? questa pagina. questa pagina? un ricca, deplorevole e sottile sfoglia ricoperta di inutilità battute sul carbone.

detto (da chi?) popolare: non osare, siediti e raccontami l’indecisione del tuo eterno e contraddittorio stare male. 

alzo la riga, faccio una pausa. 

un primato disilluso, comincio a palesare mancanze in ogni parole scritta, lacci, resti di una fune addormentata; 

lacerato e veloce, lo spazio per il finale.

un pensiero (quindi) di stoffa, custodito in un cofanetto per il pane. 

scritte, burle (retoriche) di vetro.